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VINO BUONO - a short story by Rigonondorme

-VINO BVONO-



Una città avanzata ed in continua metamorfosi facilmente perde il contatto con la propria tradizione, con la propria memoria. Per questo e altro ero particolarmente affezionato alla “Torre d’Ercole”.

Luigi, il titolare, era nostro cliente dai tempi in cui mio nonno decise di commercializzare il Botticino di famiglia. Da allora, ritualmente, da quando col nonno mi recavo in centro, Luigi mi offriva il bicchiere di “spuma” unica bevanda, acqua esclusa, a me, allora studente d’elementari, consentita. 
Una volta a settimana mangiavamo pure le poche ricette che Luigi offriva: in base alla stagione o alla festività trippa, casoncelli, os del stomech, spiedo, polenta e pochi altri piatti tradizionali accompagnati da vini che la nostra azienda, ormai cresciuta, si premurava di procurare.

Luigi era disinteressato, eccezion fatta per qualche bottiglia di “bollicine”, ai mondiali riconoscimenti dei vini franciacortini; offriva meraviglie poco esportate che andavano dai confini ovest della città fino al profondo est del garda: sulla carta c’erano allora vini onesti come Mompiano, Botticino, Lugana e Capriano.


Quando, ormai adulto, chiesi all’oste per quale motivo non volesse ampliare la lista dei vini, mi rispose che certi vini trasmettono la propria memoria solo se mescolati con l’aria che di quella memoria è pregna. Mi disse, parafrasando l’unica lingua a sua disposizione, il dialetto, che lui non si azzardava a bere un vino toscano se non in Toscana, un siciliano se non in Sicilia perchè una volta strofinata la lampada, il genio evocato si sarebbe trovato menomato, senza parole da dire.


“Vino Buono” prometteva solenne l’iscrizione murale, ormai sbiadita, fuori dal locale. Mi rasserenava pensare che quell’iscrizione ed il mobilio “campagnolo” mai cambiato mi sarebbero sopravvissuti trasmettendo ai figli dei miei figli quello che originariamente eravamo: un popolo di contadini affezionato ai derivati dell’uva.

Sopravvisse al decennio restauratore del fascismo e dei successivi bombardamenti; al decennio della ricostruzione; a quello nel quale, come satellite milanese, la nostra città diventò ricca ed industrializzata, al decennio in cui, assurdamente, si sporcò di sangue fraterno per le bombe che non più piovevano dal cielo; sopravvisse al decennio degli snack bar e delle insegne luminose e, a fatica, allo scialbo decennio della speculazione immobiliare.


Queste riflessioni, in un turbine, affollarono la mia mente quando, il vecchio Luigi, con le lacrime agli occhi mi confessò che la Torre non sarebbe, invece, sopravvissuta al decennio dei Kebab, dei Sushi Bar, al decennio di Sex&theCity&Cosmopolitan, della finta ricchezza ostentata e degli eroi da reality.
- Cedo tutto ai cinesi sai? Go mia fioi e ormai so ech – disse giustificandosi - i paga en contanti, chei! Mia mutui. I ghe fa denter el Juventus Club – proseguì candido. A queste parole guardando la vecchia fotografia autografata da Bartali per poco non svenni.


In quel momento, in quel preciso momento capii cosa andava fatto. Mio nonno mi disse che la rovina della nostra generazione era il fatto di non avere guerre da combattere.
Si sbagliava.
Questa è la nostra guerra: combattere la neocolonizzazione fatta da chi ci vuole stupidi; la guerra contro chi vuol cancellare la nostra memoria. Un manipolo di giovani guerrieri, chi restauratore di Lambrette, chi viticoltore, chi, nel proprio cascinale ostinatamente alleva oche, produce formaggi, burro e confeziona casoncelli che saranno consumati nelle poche osterie rimaste.

NOI SIAMO LA NUOVA RE-SI-STEN-ZA.

Non guadagno molto da quando sono diventato proprietario della Torre ma la paga migliore sono gli occhi di Luigi che quotidianamente viene a bere un calice e a raccontare aneddoti sui grandi ciclisti bresciani. 


- Ho sentito che un altro della resistenza ha rilevato l’officina del Serena. Sta producendo nuovamente quelle splendide biciclette in acciaio su misura - feci sapere ad un euforico Luigi. -

Resistiamo Luigi, ricordiamo.

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