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ALICE pt 1 - a short novel by Rigonondorme


1. IL NOSTRO


Che, probabilmente, non fosse buona idea quella d’amare a ripetizione “la stessa”, già l’aveva intuito. 
Conferma, si volesse fugare anche l’ultimo dei dubbi, derivava dal fatto che, Alice, così s’ostinava a voler essere chiamata quella scappatella sotto forma di diciottenne, in qualche modo s’era procurata il numero mobile del nostro.
Michele, visto il divario d’età, non ebbe cura d’informare quella bimba-plus della provincia accanto, del fatto che lui, si, piccolo dettaglio, era sposato e, pur giovane, con figlio a carico.
Eppure era uomo retto; ma mai si può prevedere dove ti porterà un venerdì trascorso con i vecchi amici, quelli-di-sempre, quelli che a forza di rivangare le vecchie avventure ti fanno venir voglia, tra i vari fumi weekendini, di riassaporarne, costi quel che costi, una.
E Alice era bella e curata con estremo vezzo da quegli inutili corteggiatori suoi coetanei dai quali, lei, - propriocettivamente matura – si sentiva distante. Con la sicurezza appartenente a chi ha assunto da anni un ruolo nella comunità, sicurezza che Alice attribuiva solo a persone noiose alle quali era precluso l’accesso ai locali e al divertimento, Michele, in camicia bianca, andatura decisa ed una rosa a riempire quella mano che lo precedeva, si diresse verso lei; si sentiva sotto un riflettore; si sentiva unica.

Lui la scelse. Lei, ne era sicura, lo avrebbe amato per tutta la vita.

In un solo secondo si può condensare un’esistenza? Tutto sparì, dai timori per il futuro alle invidie del presente, dalle insicurezze proprie della sua età alla paradossale noia che l’accompagnava in ogni serata dedicata al divertimento. Le fu naturale concedere la sua prima a Michele ed una scusa, per il rientro all’alba, l’avrebbe certo trovata.

Michele ebbe cura di far sparire le evidenze del tradimento e, improvvisamente refrattario, salutò la ragazza ora intristita; se n’andò diretto all’autostrada constatando dal retrovisore l’immobilità della giovane, intenta a fissare l’autovettura che rimpiccioliva.
Aspettò il primo autogrill per rimontare il seggiolino riposto nel bagagliaio all’andata e per rinfilarsi la fede in un gesto, che lui stesso riconobbe essere, simbolico, barocco. Non bastò, tuttavia, quella cerimonia, a consentirgli di riconoscere se stesso nell’uomo che lo scrutava a rapide occhiate dallo specchietto, quando l’autostrada diveniva noiosa e prevedibile.

Giurò che non sarebbe mai più capitato.

Sebbene moglie e figlio fossero nell’abisso di un sonno giusto, la coscienza di Michele non permise stand-by prolungati quella notte. Appena l’orario divenne ragionevole preparò la colazione abbondante e lunga del week-end e fu affettuoso come mai nella routine di quel sabato. Godette persino dell’odiata “spesa” nell’odiato centro commerciale. L'abitudine, da lui sempre vista grigia, come luna per il sole, brillò di un riflesso suggestivo e nuovo, comunque sereno e sicuro; anche solo l'idea di perderne diritto lo soffocava.

Quando, dopo tre settimane, Michele salutò Alice, nello stesso locale, lei scoppiò in lacrime di felicità e lo abbracciò davanti agli amici. Michele, pieno di imbarazzo, accettò titubante l’invito alla festa per il diciottesimo di una amica della compagnia. Fu bello riassaporare certi odori e sapori. Fumare canne e bere birra scadente, direttamente dalla lattina. 

La testa girava e Alice profumava. La musica assordava e la luce mancava. Si risvegliarono nudi, abbracciati, in un letto estraneo. Terrorizzato Michele tirò un sospiro di sollievo quando si accorse, brandendo di scatto il cellulare, che erano solo le tre del mattino; in un'ora poteva essere a casa simulando la solita uscita del venerdì con gli amici.

E così fece. Per quattro mesi. Ogni venerdì.

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